Nel mercato di larga scala, le strutture veterinarie italiane non sfruttano tutte le potenzialità, lasciando spazi di competitività inespressa. Resta forte la tendenza alle piccole dimensioni organizzative. Ancora bassa la propensione ad aggregarsi e a sviluppare servizi e prestazioni accessorie. Nella “V Indagine sulle strutture veterinarie italiane”, condotta da ANMVI e pubblicata on line, un campione di 400 titolari rivela le tendenze di un settore che si muove, ma lentamente.
Dove il volume d’affari medio/annuo è maggiore:
- • nel Nord Est (media € 162.036)
- • per cliniche/ospedali (€ 245.000)
- • strutture più grandi (€ 154.688)
- • aperte da più tempo (€ 157.308).
Hanno un giro d’affari mediamente inferiore le strutture delle regioni meridionali (€ 48.952) e quelle gestite da donne (€ 81.675).
Il valore medio generale è comunque cresciuto negli ultimi 4 anni, attestandosi su 70.000 euro/anno
Continua la ripresa degli investimenti- Si conferma la fase di ripresa degli investimenti già rilevata dalla IV Indagine del 2016. In media, ogni struttura veterinaria
è dotata di 8,6 apparecchiature oltre a quelle di base. In generale, sono più attrezzate le strutture di maggiori dimensioni e gestite da più soci, rispetto a quelle più tradizionali e le strutture gestite da professionisti di sesso maschile.
La spinta delle nuove generazioni- Le strutture organizzate come clinica od ospedale sono più diffuse tra le ultime generazioni. Le strutture veterinarie private più recenti (dal 2005 ad oggi) sono state aperte soprattutto nel Sud (44,6%), nei centri urbani (34,7%), da veterinari al di sotto dei 40 anni (60%) e da donne (38,4%).
Risorse umane in crescita- Sono soprattutto gli ambulatori e gli studi con dimensioni medie più piccole e un giro d’affari annuo minore ad essere privi di dipendenti non veterinari e ad essere gestite senza collaboratori. Nelle cliniche/ospedali, invece, l’organizzazione delle risorse professionali è invece più complessa e strutturata, mediamente con più soci e veterinari presenti, tirocinanti e dipendenti non veterinari. Complessivamente, le risorse umane impiegate nelle strutture veterinarie italiane sono in crescita.
Prestazioni accessorie- La propensione “commerciale” delle strutture veterinarie, da circa due anni, punta sulla dispensazione di medicinali, parafarmaci, prodotti come quelli per l’igiene e la cura, antiparassitari esterni, integratori, alimenti dietetici. Non cresce invece la presenza del pet corner interno.
Si dispensano farmaci nell’88,7% delle strutture in cui è attivo il petcorner; per contro, il pet corner è presente nel 25,1% delle strutture in cui si dispensano farmaci. Nella metà delle strutture la maggior propensione è verso antibiotici, antiparassitari interni e anti-infiammatori; aumentano significativamente gli anti-infiammatori, antidolorifici ed analgesici, i prodotti otologici ed oftalmici. Tra gli altri prodotti gli antiparassitari esterni, e gli integratori alimentari.
La propensione commerciale è più elevata al Sud, in cliniche/ospedali, nelle strutture più grandi (per dimensioni e fatturato) e gestite da più soci.
Tra i motivi per non dispensare i farmaci scendono d’importanza quelli organizzativi, superati dalla concorrenza percepita nella vicinanza di una farmacia. Restano fondamentali motivi di freno le complicazioni fiscali. Per il pet corner che rimane stabile, pesano oltre a quelli fiscali i fattori organizzativi e logistici. Infine, la concorrenza di pet shop nelle vicinanze pesa molto più che in passato.
Sintesi dell’evoluzione dalla prima indagine (2005) ad oggi:
Le strutture italiane di cura sono in maggioranza ambulatori, ma la loro percentuale è in continua diminuzione; stabile negli ultimi due anni la quota delle cliniche. Si osserva un certo ritorno, da parte dei titolari, a scegliere la forma costitutiva dello studio. Circa un quarto delle strutture attualmente attive è stato aperto negli ultimi 10 anni, in particolare nelle regioni del Sud, nei centri urbani, da veterinari con meno di 40 anni e donne.
Si afferma nel 2018 la tendenza all’incremento medio delle dimensioni dei locali di lavoro e del giro d’affari annuo.
Confermata, rispetto a due anni fa e più significativa, la propensione ad investire in attrezzature e ad incrementare e diversificare in modo sempre più specialistico le attività erogate. I veterinari più giovani, in particolare, si orientano verso una maggiore specializzazione delle prestazioni di cura.
Cliniche/ospedali, strutture più grandi, con più personale e volume di affari maggiore, si caratterizzano per una dotazione strumentale, un’offerta di prestazioni di cura e di attività collaterali, una quantità di prescrizioni farmacologiche e di vaccini effettuati, più significativa.
I veterinari per animali da affezione non curano quasi più animali da reddito o cavalli ed equini, seguiti ormai solo da veterinari a loro volta specializzati. La cura di animali esotici è invece diventata una specialità acquisita in poco meno di 3 strutture su 10 per la cura di animali da compagnia.
In crescita rispetto al passato le risorse umane che a vario titolo lavorano in questo tipo di strutture veterinarie.
Internet è strumento di lavoro e canale d’informazione abituale per la netta maggioranza dei titolari di struttura italiani; per quasi tutti quelli più giovani. Nel 2018 si osservano più user della media negli ambulatori/ studi e tra i titolare unici.